Vincenzo Verdesca, Creative Designer e…


La “Cartolina” di questa settimana è dedicata a un giovane eclettico artigiano che, a soli 33 anni, vanta già una esperienza quasi decennale.
Il suo nome è Vincenzo, è nato, e ne è orgoglioso, a Salentino di Galatina in provincia di Lecce e da 12 anni vive a Roma.

Buongiorno Vincenzo, catalogare il tuo estro artigiano in un solo mestiere è piuttosto complicato: make up artist, stilista, consulente d’immagine…Tu, come ti definiresti?

Definirmi in un unico mestiere è sempre stato un po’ il mio problema. Sono ufficialmente un Designer, definizione che sicuramente racconta dell’elemento comune tra tutti i mestieri cui mi dedico: la Progettazione. Non esiste professione senza progetto. Mi piace però immaginarmi come un modista del passato, poiché nel mio atelier/bottega immagino, creo e realizzo progetti di ogni genere. Principalmente confeziono abiti di alta moda su commissione per clienti di tutti i tipi, inoltre costumi di Burlesque, settore a me molto caro. Il make up, lo styling, la cura dell’immagine sono elementi collaterali che viaggiano su canali che spesso si sovrappongono. Quando si apre la porta della creatività, un mestiere tira l’altro, basta mantenere alta la qualità percependo sempre i propri limiti e collaborando con le persone giuste.

 Il tuo segno creativo ha dunque un che di ‘vintage’, e così pure la tua manualità che trae spunto da ricercate manifatture. Da dove è nata questa tua passione, dove si è  arricchita della tecnica necessaria per trasformarsi in professione?

La mia non è una passione, è una vera e propria vocazione che oserei definire religiosa. Questa vocazione è innegabilmente radicata nella storia della mia famiglia, nei racconti dei miei genitori che hanno vissuto gli incredibili anni ‘40 e ‘50, nella complice curiosità che mi lega fortemente a mio fratello e nel loro prezioso supporto per ogni mio ‘delirio’ creativo. “Lasciatelo fare”, diceva mia mamma.
Crescendo, dopo aver accolto la mia natura eclettica, ho avuto modo di esplorare i miei interessi attraverso gli studi.

Prima il triennio di Graphic Design presso l’Accademia di Belle Arti di Roma che ho completato in soli due anni e mezzo, di cui il secondo all’estero presso l’Accademia di Belle Arti di Anversa. Lì ho avuto modo di scoprire la mia attitudine verso il Fashion Design, grazie ad una serie di lezioni meravigliose con designers del calibro di Iris Van Herpen, Dries van Noten, Ann Demeulemeester, Dirk Bikkembergs… 

Tornato in Italia pieno di elettricità creativa ho subito iniziato il Biennio Specialistico in Fashion Design presso la stessa Accademia di Roma. Poi una borsa di studio mi ha permesso di frequentare il corso di Interior e Product Design presso l’Istituto Europeo di Design di Roma (IED). Durante tutto il corso degli studi ho sempre prodotto, esplorando tecniche, materiali, rubando con gli occhi e le mani (metaforicamente) l’esperienza di artisti, artigiani e docenti illuminanti. Così ho iniziato a raccontare la mia storia attraverso le mie creazioni, una storia che sicuramente richiama il passato, che lo celebra e lo ringrazia.

Prestissimo hai iniziato a lavorare, sperimentando su te stesso trucchi e travestimenti, fino ad arrivare ad un alter ego performer che ti esprima a tutto tondo…

Ecco, mentre nel corso della settimana studiavo come un matto, nel weekend lavoravo come vocalist per guadagnare qualcosina. Lì è nato il mio alter ego: Jesus.
Circondato da performer visionari, club kids e direttori creativi lungimiranti ho avuto modo anche in questo settore di esplorare me stesso e mi rendo conto ora, proprio mentre rispondo, di essere veramente fortunato. Non mi bastava quello che creavo, volevo immergermici, buttarmelo addosso, viverlo. E per combattere la battaglia con la mia identità, quale miglior armatura se non  un po’ di matita nera e una giacca di pelle? In meno di una stagione il mio alter ego, Jesus, aveva preso forma: lo descriverei come un personaggio figlio di Dita Von Teese e Marilyn Manson.

Ho iniziato quindi ad esibirmi cantando, altra mia grande passione, in giro per cafés chantants e teatri d’Europa, alternando la mia professione di designer, con quelle di make up artist e performer. 

La tua attività di Make up artist ti ha dato grandi soddisfazioni e ti ha portato a collaborare anche con Gigi, Carlotta e Susanna Proietti al Globe Theatre…

Ogni progetto comporta una grande soddisfazione, da quello più semplice a quello più complesso.

La collaborazione con la famiglia Proietti è uno dei traguardi che non sarei mai riuscito ad augurarmi. Non riesco a comunicare il senso di rispetto e di stima che mi ha legato a Gigi ed ora  alle mie care Carlotta e Susanna, tramutatosi nel tempo in profondo affetto. Devo molto alla loro fiducia. Non posso dire altro senza commuovermi.
Oltre allo splendido Globe Theatre, ho avuto la fortuna di calpestare il backstage, a volte anche il palco, di vari altri teatri storici romani e italiani: il Teatro Parioli, il Teatro Brancaccio, il Teatro Vittoria, l’Auditorium Parco della Musica, il Teatro Gioco Vita di Piacenza, il teatro Pim Off di Milano e di recente il Teatro No’hma di Milano in collaborazione con Riccardo Buscarini, regista e coreografo, e Sabrina Fontanella, nello spettacolo “Vorrei che questo ballo non finisse mai” che mi vede anche nel cast.

I tuoi clienti non solo attori professionisti, anche persone che richiedono un look curato per occasioni particolari. Quale la richiesta che ti ha divertito di più? Quale quella in cui il tuo talento artigiano è stato messo alla prova?

Il divertimento è nella sfida! Un giorno devo vestire una vampira con tanto di canini e sangue finto, il giorno dopo realizzare il look per un tributo ad una diva di Hollywood tra piume e cristalli, a volte lo styling per un video musicale, oppure creare un abito da sposa. 

Mi piace moltissimo curare l’immagine delle mie clienti di Burlesque, perchè mi permette di viaggiare nel tempo, ricreando abiti, make up e acconciature di epoche passate e di conseguenza rivivere e rielaborare il concetto di bellezza, principalmente femminile, con la consapevolezza del presente. La vera sfida, oltre al fattore tecnico, è quello di riuscire a raccontare con dignità la storia della persona che sto truccando o vestendo, sia essa un personaggio di fantasia, una sposa o un performer. La sincerità è sempre la vetta più difficile da raggiungere, anche nella finzione artistica.

In tempo di pandemia quanto è importante il make up su un viso celato in gran parte dalla mascherina?
Il make up non serve a niente se non ci fa sentire bene. Truccarsi è un canale di comunicazione con se stessi e con gli altri. Non è necessario, ma può essere utile, con mascherina e senza. Certo, la bellezza di un viso struccato non ha prezzo.

Hai un suggerimento, una piccolo ‘trucco’ facilmente realizzabile per riportare sul viso l’allegria di un Carnevale quest’anno certo sottotono?

Un piccolo trucco? “Lasciatelo fare”, diceva la mia mamma. Siate creativi!
Il make up si lava dal viso, ma alla fine quello che vi ha permesso di vivere rimane nella memoria. Io son partito con una matita nera e il rossetto di mamma al posto dell’ombretto. Fate pasticci e copiate chi vi piace. Divertitevi!

Il lockdown dei mesi passati ha portato non poche difficoltà a tutti gli artigiani. Non ha potuto però fermare le loro abili mani. So che le tue si apprestano a realizzare una linea di abbigliamento con un tuo marchio originale…

Di sicuro è un progetto ambizioso, specialmente in questo periodo che ci sta corrodendo dentro e fuori. ARCANA è il mio progetto più intimo, uno studio creativo che raccoglie tutti i settori sui quali opero, dalla moda alla musica.
In collaborazione con artigiani, designer e giovani artisti volenterosi, ARCANA ha come obiettivo la realizzazione di servizi e prodotti di design (fashion, accessori, consulenza d’immagine, make up) che mantengano i loro valori emozionali e rappresentino la nuova realtà creativa, con le sue ferite. Un racconto esoterico, mistico e profondamente onesto: il tutto senza compromettere la qualità e la ricerca che contraddistinguono il nostro Paese.
Vorrei che ARCANA fosse come un borgo di artigiani 2.0. Anzi 2.1 come quest’anno in corso. 

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