A tu per tu con le difficoltà di una stilista artigiana
Poter fare un lavoro creativo, che rappresenta anche la propria passione è un lusso e le cose positive saranno sempre più numerose delle negative per il semplice motivo che è una libera scelta. Detto questo, ci sono anche cose che non amo nel mio lavoro e che spesso mi fanno arrabbiare.
Il mio brand rappresenta una piccola realtà imprenditoriale italiana e come tale vive tutte le difficoltà di chi, schiacciato dalla grande distribuzione, si trova a gestire tutti gli aspetti del proprio lavoro, dalla creatività alla vendita, dalla produzione alla comunicazione.
È davvero difficile disegnare una collezione accattivante dovendo costantemente prestare attenzione ai costi di realizzazione, all’ottimizzazione dei passaggi in confezione, alla qualità del tessuto, che molto incide sul risultato finale sia come resa sia purtroppo come costo. E non si può pensare di dedicare le proprie energie solo alla parte creativa del lavoro, occorre curare anche gli aspetti commerciali, la comunicazione digitale e la gestione fiscale della propria attività. Diversamente, se si chiede una consulenza professionale per farsi aiutare, giustamente bisogna pagarla, come giustamente bisogna pagare le tasse, tante tasse…
Credo che questi aspetti debbano essere raccontati ai consumatori per accompagnarli nella libertà del cosiddetto “acquisto consapevole”. I miei capi sono molto più cari di quelli della grande distribuzione, è vero, ma il mio guadagno è infinitamente minore. Non è sempre facile far capire ad alcuni clienti che vengono a trovarmi in laboratorio che il prezzo di un capo artigianale non è una truffa ai loro danni, ma che la scelta di comprare di meno (perché si tratta di capi che durano nel tempo) spendendo di più significa scegliere la creatività, il Made in Italy, quello vero! Significa anche supportare i piccoli negozi della propria città e rispettare maggiormente l’ambiente. Rinunciare talvolta a comprare su internet o nella grande distribuzione può essere l’occasione per visitare un atelier, toccare e provare il prodotto prima di sceglierlo, avere un confronto umano e reale con chi porta avanti quella realtà. Come dovremmo scegliere il cibo considerando l’impatto ambientale per produrlo e trasportarlo, la manodopera impiegata per raccoglierlo, la sua stagionalità, dovremmo anche riflettere prima di acquistare un capo d’abbigliamento. Può sembrare una battaglia persa, un remare contro il mondo che va nella direzione della fast fashion, ma io continuo a crederci.