L’occasione è davvero piacevole. Conosco Marina e le sue opere da un po’ ma poterla incontrare nel suo atelier di casa, in mezzo al verde, sulla collina torinese, quegli spazi che tutti ci invidiano, è tempo sottratto allo stress e regalato alla bellezza. Di lei alcuni hanno scritto in modo favorevolmente critico: “La motivazione di questa artista è generosa alla fonte. Si spazia dalla compassione all’evocazione, compresa la difesa e la denuncia delle ingiustizie e delle disuguaglianze nel mondo. L’emozione è allora come la brutale constatazione che l’umanità è soprattutto un respiro universale; lo troviamo qualunque sia il continente o il punto geografico.Marina Tabacco parla del mondo contemporaneo con l’atteggiamento trascendentale del mago che cerca di cambiare il mondo con la sua bacchetta”. Pensieri che già ci orientano ma sentiamo dalle sue parole il racconto del proprio mondo artistico e artigianale.
– Marina Tabacco artista: quando ha inizio e su quale ispirazione?
– La passione per la pittura è stata sempre nel mio animo. Ricordo che fin da bambina trascorrevo ore a disegnare ed avevo molto fantasia e creatività. Interesse che continuò anche alle scuole medie, dalla cui insegnante che prediligeva le composizioni astratte, ricevevo sempre il massimo dei voti. Non ebbi però il consiglio o il coraggio per iscrivermi al liceo artistico e quindi proseguii gli studi linguistici. La passione rimase sopita fin verso i 40 anniquando tornò prepotente nella mia vita lacerata da un lutto importante. Da lì cominciai afrequentare lo studio di un artista torinese, frequentai corsi vari in Italia e all’estero, tra cui per alcuni anni il corso di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Torino.
– Quali tecniche e soggetti prediligi? Quale la tua cifra stilistica?
– Uso principalmente colori acrilici e pigmenti naturali. Mi sono interessata a temi quali identità, terra, viaggio, migranti, inserendoli con un taglio informale, non direttamente visibile. D’altra parte ho introdotto nelle mie opere, in modo ossessivo e seriale, simboli ancestrali autoctoni, oggetti artistici africani, interpretandoli in una chiave tutta personale. La mia cifra stilistica è l’uso di molti colori anche forti e la mescolanza degli stessi per creare un métissage artistico e culturale, con espressioni artistiche e culturali originari del continente africano.
– Stretta connessione quindi con il mondo africano e i temi sociali: com’è nata e sviluppata?
– Il 2004 l’anno è stato quello della svolta. Infatti il mio “coupe de foudre” con l’arte africana risale a quell’anno con la visita alla mostra “Capolavori da un Continente” alla Galleria d’Arte moderna di Torino. Negli anni successivi seguirono molti viaggi in Senegal, visite a mostre e musei, sezioni di pittura, esposizioni. Le ultime in occasione della Dak’art 2018, Biennale d’arte Contemporanea Africana, nella sezione off dedicate agli artisti stranieri. Ho incontrato artisti conosciuti, talvolta più all’estero che in patria, come la scultrice Seni Camara (presente nella collezione Pigozzi esposta a Parigi e alla Pinacoteca Agnelli del Lingotto) da me ritrovata nel suo atelier a Bignona, nella meravigliosa ma sofferente regione della Casamance, nel sud del paese. Mi sono anche confrontata con altri pittori senegalesi e della diaspora, artigiani locali sempre per la mia ricerca dello spirito ancestrale del continente dalla terra arancione. L’Africa si ritrova nella tavolozza dei miei colori, nel calore e nella forza della mia pittura. Rappresenta per me la forza creatrice. Nel 2024 ho visitato per la prima volta il Benin e ho partecipato ad una esposizione collettiva con opere realizzate sul posto ispirate alle cerimonie vodun presso il Centro d’arte e residenza La Grande Place di Porto Novo.
– Arte e artigianato: un sottile confine che porta ad esplorare diversi tipi di applicazioni e contaminazioni. Tu ne stai sperimentando?
– Il mio lavoro artistico ha avuto anche uno sviluppo in ambito artigianale nel settore moda.Infatti una parte dei miei lavori si possono trasformare in texture e tessuti. Nel 2019 ho vissuto un altro incontro significativo quando la stilista italo-haitiana Stella Jean, scoperta da Giorgio Armani, ha utilizzato per le sue tele un mio quadro per la sua precollezione di moda primavera-estate “Resort 2020”. Nella prossima primavera presenteremo un progetto arte e moda con una designer torinese anche lei collegata all’Africa essendo nata in Costa d’Avorio.
– Torino che cosa rappresenta per te che apri lo sguardo e il cuore oltre…?
– Difficile rispondere. Amo questa città, la sua architettura, i suoi musei, la sua eleganza, storia ma debbo essere sincera: la mentalità non mi corrisponde. Io sono diretta, passionale, idealista e non riesco a adeguarmi alla mentalità sabauda. Infatti non sarà un caso che il mio lavoro artistico trovi più riscontri e apprezzamenti fuori da Torino.
– Quali gli ingredienti delle tue opere?
– Io lavoro principalmente su medi e grandi formati (1 metro e oltre) perché la forza del mio colore steso abbondantemente sulla tela e le mie pennellate lunghe richiedono spazio e libertà. Normalmente preparo dei fondi importanti in cui inserisco qualche elemento figurativo mascherato e mescolato con segni e colature mentre nei lavori con soggetti seriali, ritraggo volti, maschere e archetipi africani. La ripetizione induce a un modus più controllato e attento.
– Deliziosa la location in cui ti incontriamo…
– Il mio piccolo atelier si trova nella casa di famiglia dove vivevano i miei nonni e dove hotrascorso tutta la mia infanzia e adolescenza. Un legame con le mie radici che non si è mai reciso e che quando cercavo un luogo per dipingere è stata una scelta naturale. E’ immerso in un paesaggio naturale, meraviglioso e rilassante. Un luogo dove è bello tornare e che mi ha dato la spinta per scoprire nuovi orizzonti.