Incontrare Daniela Diletti, la Marchigiana, nella sua bottega/laboratorio in San Salvario è una esperienza a tutto tondo. La designer, docente, moderna “artigiana” delle calzature riesce a rappresentare così tante “vite” da rimanerne impressionate. Vite sue e dei suoi amati genitori Gabriele (l’artista della scarpa) e Filomena (l’orlatrice che definisce il dettaglio). Parlarle regala a noi che la intervistiamo e più in generale al comparto artigianale un respiro così ampio e moderno, ben strutturato ma creativo, dinamico ma legato alle tradizioni, ricco di “cultura” ma memore delle radici… Tutto davvero tutto quello che si può immaginare per un futuro artigianale di sano successo è maturato in lei con tantissima fatica.
E il suo racconto parte dalle fatiche della sua famiglia, racconto che ha una connessione profonda e radicale con la terra marchigiana da sempre nota per la filiera delle calzature. Il suo paesino in campagna in provincia di Ascoli Piceno non è mai stato un limite. Resta una certezza cui tornare per ripartire per il mondo. Con una onestà intellettuale disarmante ripercorre le alterne vicende economiche della fabbrica dei genitori, di successi e cadute legate indissolubilmente all’evoluzione economica delle aziende italiane del settore moda (da cui lei pone un fiero distacco) dagli anni ‘80 in qua.
Passando per chiusure, ripartite attraverso la vendita in mercatini fino ad un riappropriamento e riconoscimento quanto mai legittimo della professionalità artigiana attuale nutrita di strumenti nuovi. Torino è stata la città della ripresa oltre che per Daniela dello studio universitario. Perché i genitori di Daniela – ci dice- “mi hanno fatto studiare ed è stata la svolta”. Laurea in Conservazione dei beni culturali a Viterbo, dottorato al Politecnico di Torino, lavoro presso call center in parallelo e mercatini dove via via si fidelizzavano i clienti giusti. Dai mercati all’apertura della bottega in Via Saluzzo, punto di riferimento per acquisti più calmi, dove vediamo Riccardo il suo collaboratore che si occupa del back office. Di quali scarpe? Perché di quelle parliamo e ne siamo circondati mentre si racconta. Uomo, donna, in alcuni casi quasi unisex, modelli “iconici” ovvero una serie di modelli base in pelle nera o marrone (con possibilità di personalizzazione in colori diversi) senza vincoli con alcun dettame modaiolo ma risposta alle esigenze dei clienti.
I clienti tramite Instagram vengono educati a riconoscere la personalità dei modelli che devono garantire soprattutto comfort. “La mia sfida è rendere accattivante una calzatura comoda. I nostri modelli cambiano solo in relazione ai materiali che troviamo. Lavoriamo su incroci ma non mi interessa tanto il design che comunque per noi è un dato acquisito quanto l’approccio al processo produttivo e di comunicazione. Mi interessa il sistema che si deve muovere intorno all’artigianato di oggi cui siamo tornati.
Mi appassiona essere docente presso lo IAAD (dove torno alla Storia dell’Arte e Design sempre amati) e ai ragazzi cerco di trasmettere la necessità di sapere e studiare in molte direzioni, oltre alla forza di volontà, tenacia, l’accettazione del rischio per affermarsi come artigiano”. In negozio vediamo anche delle bellissime borse che sono proprio una creazione di Daniela, la sua passione sin da quando annoiata a 15 anni invece di stare con gli amici si costruì la primissima che ebbe molto successo tra le sue professoresse… Le borse di oggi sono sportive, antiscippo (in ricordo dei viaggi in metro…) e “triplici” (a zaino, spalla e tracolla). È talmente tanto il passato vissuto che a questa giovane imprenditrice suona strano chiedere del futuro ma sappiamo che riuscirà a sorprenderci.
E difatti: “Intravedo da analista due possibili direzioni per il nostro settore: il sistema moda in crisi che lascia dei varchi producendo una selezione naturale di aziende oggettivamente inutili. Ma se l’artigiano capisce che deve formarsi anche come imprenditore e che il secondo aspetto nulla toglie alla sua creatività e al suo talento ma lo valorizza, allora sarà un futuro roseo anche per i giovani. Ci vuole apertura, confronto, rete, collaborazione e tanta formazione.
Per questo per il brand La Marchigiana mi piace pensare ad aprire in Italia e in Europa dei temporary shop, dei Pop Up per presentare i modelli iconici acquistabili poi on line. Diventare artigiani un po’ nomadi pur mantenendo un punto di riferimento a Torino che per noi è stata la città della rinascita. Poi sto lavorando ad un bellissimo progetto di aggregazione con altre amiche artigiane Alice Cococcioni e Alice Vitelli, entrambe marchigiane, per creare una struttura di formazione per l’imprenditoria di quella regione. E in Torino poi una emanazione di tale scuola che dia un orientamento concreto ai laureati per un cambio vita gratificante. Manca agli artigiani lo sviluppo dell’aspetto imprenditoriale. Noi donne, con l’apertura e flessibilità che un po’ ci appartiene, sogniamo di recuperare con modernità il rapporto tra la manifattura e il territorio aprendolo a tutti senza alcuna distinzione. Da qui il passo alla politica intesa come salvaguardia, sviluppo e cura della cosa pubblica, nel mio caso, l’artigianato, forse sarà naturale… un po’ più in là negli anni”.
Auguri Daniela! Non possiamo che sostenervi perché parlare al futuro non sia solo una scommessa ma una certezza.
LA MARCHIGIANA
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